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La storia

La Chiesa attuale di Torre raccoglie l’eredità giurisdizionale dell’antica pieve, le cui origini risalgono molto probabilmente ai primi secoli della diffusione del cristianesimo nella diocesi di Concordia-Pordenone.

Viene costruita negli ultimi decenni del 1800 (avvio dei lavori nel 1873, su un progetto di Damiano Roviglio di Pordenone), in stile neoclassico, ad aula unica e presbiterio rialzato. Tra il 1901 e il 1910 furono rifatti l’altare maggiore e la scalinata del presbiterio. IL campanile fu completato attorno al 1777, a corredo della chiesa precedente, che fu demolita abbattendo gli affreschi della facciata, del tardo XV o degli inizi del XVI secolo.

Vicino l’ingresso spicca il fonte battesimale del 1523, opera di Antonio Pilacorte, abile lapicida della scuola dei comacini da Carona. È opera di questa scuola anche la pila dell’acqua santa (1532). Da ammirare qui pure è il tabernacolo ligneo dorato (1580 ca.) e il crocifisso appeso alla parete, di ottima fattura che, come la pala dell’altare maggiore, provengono dalla Chiesa precedente. Di fronte c’è l’altare dedicato a s. Antonio, proveniente da una chiesa demolita, in pietra viva artigianale, del 1700. La statua del santo, in acacia, è opera pregevole di un artista di Ortisei, del 1900. L’altare della Madonna, il secondo a sinistra entrando, in muratura, si distingue per la statua lignea di provenienza dalla Valgardena. Quello del sacro Cuore, di fronte, è opera veneziana del 1945, con impostazione “a capanna”.

L’altare maggiore è un monumento in marmo, dell’anno 1922, con angeli adoranti in gesso del De Paoli. In presbiterio domina quello che viene ritenuto il tesoro artistico della Chiesa, la pala di G. Antonio De Sacchis detto il Pordenone, realizzata per il Natale del 1520 su commissione del comune di Torre e dei camerari della Chiesa. Rappresenta i due santi martiri aquileiesi titolari, Ilario e Taziano, in conversazione con la Madonna “odighitria” (in trono), sant’Antonio abate e san Giovanni Battista. Ai piedi del trono i due putti musicanti sono considerati il centro luminoso di tutta la scena rappresentata. Da alcuni studiosi è considerata la sua opera migliore. Restaurata, non proprio benissimo, una prima volta nel secolo scorso (1867), per quanto possibile è stata riportata al primitivo splendore nel 1983, dall’artista Ottorino Nonfarmale di s. Lazzaro – Bologna, in occasione della grande mostra sul Pordenone di Passariano del 1983-84. Per la Commissione provinciale d’arte avrebbe dovuto trovare un’altra collocazione in Chiesa ma la popolazione ha reagito lasciandola dove ora si trova esposta.

L’organo attuale sostituisce quello meccanico-tubolare del secolo scorso, dal suono dolcissimo e di marca prestigiosa, ora nella chiesa di santa Giovanna d’Arco, a Cordenons. Esigenze funzionali hanno determinato la costruzione dell’attuale, dai suoni marcati ed armoniosi, di marca Guido Pinchi (Foligno)

L’origine di Torre si fa risalire ai sec. IV-V. Qui si costituisce un nucleo di vita cristiana, da cui la plebs intitolata ai santi martiri aquileiesi Ilario vescovo e Taziano diacono. Non ci sono molte notizie sullo sviluppo successivo della comunità, si sa soltanto che nel 1226 fu riedificata la chiesa, viste l’incapienza e la vetustà dell’edificio preesistente. Da un’antica sinopia scoperta nel vicino castello, si sa che attorno al 1434 la chiesa era a doppio spiovente e dotata di campanile. Nella seconda metà dell’’800 l’intera struttura, già cadente ed insufficiente, venne totalmente riedificata. L’elenco dei pievani medievali è assai lacunoso fino ai pievani del XVI secolo.

La pieve di Torre esercitava la cura d’anime su una giurisdizione assai vasta. Il progressivo sviluppo dell’insediamento di Portunaonis (del porto del Noncello) comporterà una revisione dei confini. Fino alla stesura dell’apposito decreto del vescovo di Concordia Fulcherio di Zuccola, dell’8 maggio1278, la popolazione della terra murata di Pordenone dipendeva per l’amministrazione dei sacramenti del battesimo, del matrimonio e delle esequie dalla Torre. Nel 1603 anche l’ultima filiale rimasta all’antica pieve, la parrocchiale di s. Lorenzo di Roraigrande, si staccò definitivamente.

Nel 1695 la parrocchia contava 390 abitanti, mentre agli inizi del XX secolo il numero era asceso a 4.000, a seguito dell’enorme e veloce sviluppo avuto dopo l’impianto del Cotonificio Veneziano del 1840. Don Lozer nel 1903 incontrerà una realtà ecclesiale e sociale in forte evoluzione, alla quale ha cercato di far fronte in tante maniere, spendendosi senza tregua, fra non pochi contrasti interni ed esterni alla comunità. La sua opera lascerà un segno, che oggi viene rivalutato e riproposto, seppure in un contesto culturale e sociale diverso e quindi con altre modalità.